Inflazione e aziende: le strategie per limitare i costi
L’inflazione galoppa e le aziende italiane iniziano a sentirne tutto il peso. Il mese scorso, l’Istat registrava un tasso di inflazione all’8%, lo stesso livello di giugno 1986, quando i prezzi aumentarono della stessa percentuale riducendo la capacità di spesa degli italiani.
Cosa significa per le aziende, soprattutto quelle che lavorano nella ristorazione collettiva, fare i conti con un aumento importante dei costi di materie prime essenziali? E come contenere il fenomeno senza riversare l’incremento dei prezzi sul cliente finale?
Aumentano i costi di produzione
Dietro la crescita dell’inflazione ci sono motivi diversi. Nel caso italiano si tratta di inflazione alla produzione, perché generata da un aumento dei costi alla produzione e/o da una maggiore domanda di beni e servizi sul mercato. “Quando questi due fenomeni si uniscono e si sovrappongono – spiega Francesco Proto, responsabile acquisti del Gruppo Elior -, l’inflazione cresce in maniera importante”.
Le cause dell’inflazione in Italia
Alla fine della scorsa estate, con la ripartenza dei consumi, a livello mondiale si è assistito a massicce politiche di recovery per il ripristino delle scorte, che hanno generato un aumento esponenziale della domanda. “Questo ha alimentato una domanda di beni e servizi di carattere straordinario – commenta Proto -, fenomeno che in situazioni normali tende ad armonizzarsi nel breve periodo”.
Stavolta, però, non è andata così. “Si sono generati dei colli di bottiglia, sia alla produzione sia alla nei trasporti che ha visto coinvolti da subito alcuni beni essenziali quali cereali, mais, oli vegetali, a cui si sono aggiunti i consumi energetici, tutte categorie di prodotto fondamentali nell’industria alimentare, nella alimentazione umana e nella zootecnica”.
L’Italia non è un paese autosufficiente per molte di queste categorie. Per esempio, produciamo circa il 60% del grano duro necessario al fabbisogno nazionale, e solo il 35% del grano tenero. Il che significa che “dobbiamo acquistare importanti quote di materie prime da paesi esteri, quali Russia, Ucraina e Canada dove è concentrata una parte importante di queste produzioni.
Sos energia
Il problema dell’aumento dei prezzi riguarda anche l’energia. In Italia produciamo il 90% del nostro fabbisogno ma lo facciamo usando impianti termici che utilizzano fonti non rinnovabili ed altamente inquinanti, che acquistiamo all’estero.
Il 70% dell’energia prodotta serve ad alimentare le industrie e i servizi: paradossalmente, l’agricoltura ne usa solo il 2%. Ciò significa che “come Paese abbiamo un problema di sostenibilità delle aziende”.
L’Osservatorio sul settore food Italiano, realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in collaborazione con il gruppo bancario svizzero Ceresio Investors, ha sottolineato che c’è un “problema serio di sostenibilità economica per molte aziende del sistema food”. Le conseguenze? “Si può arrivare a interrompere la produzione a causa dell’aumento dei costi dell’energia, superiori fino a sette volte rispetto all’anno precedente e per l’impossibilità di approvvigionarsi a prezzi corretti delle materie prime”.
Tra guerra e siccità
A questi si sono aggiunti ulteriori problemi. Il conflitto russo-ucraino aggrava gli effetti della già critica situazione sulla produzione di grano, vista l’impossibilità a marzo di seminare i campi. “I terreni andranno poi bonificati prima di poter ripiantare tutto lo stesso dicasi per i porti dai quali smistare i prodotti”. Ad essere toccate sono le aziende dell’industria alimentare ma anche quelle legate alla mangimistica animale.
Poi c’è la siccità: “In Italia non piove da oltre 120 giorni, i livelli dei fiumi sono ai minimi da 70 anni a questa parte e le riserve idriche scarseggiano; siamo costretti a liberare le riserve d’acqua degli invasi presenti sulle Alpi ma sappiamo già non sarà sufficiente e che la siccità porterà dei problemi nella produzione e nella qualità delle olive e lo stesso accadrà per la fioritura del riso”. I campi vengono e verranno sempre più convertiti verso produzioni che hanno bisogno di “bere” meno acqua. E per quanto riguarda i legumi, che importiamo da Canada, Usa e Sudamerica e il cui trend di consumo negli ultimi anni stanno registrando un’impennata, peseranno i costi di trasporto e l’aumento dei prezzi del carburante. La situazione, insomma, è particolarmente complessa e difficile.
La ristorazione collettiva
Il settore della ristorazione collettiva aveva già subito una contrazione importante con l’arrivo del Covid: chiusura delle scuole e smart working hanno comportato una riduzione dei volumi significativa nell’ultimo biennio.
Diversamente dalla gdo e dalla ristorazione commerciale, “il nostro comparto fatica a trasferire a valle gli effetti della crisi alimentare ed energetica – sottolinea Proto -. Tanto più quando lavoriamo nel settore pubblico, dove ci aggiudichiamo appalti con prezzo fisso che difficilmente può essere ritoccato”.
Non va meglio quando i clienti sono privati: “Pur essendoci margini di manovra più ampi, il rischio per noi è rimanere schiacciati nel mezzo”.
Le soluzioni
Che fare, quindi? Il Gruppo Elior ha deciso di non vivere la situazione contingente in modo passivo e mettere in campo una serie di azioni per fronteggiare un’ondata di inflazione che difficilmente si era vista in anni passati.
Il primo passo è accedere a mercati e fonti di approvvigionamento alternative nazionali ed internazionali rispetto al passato, “quindi intercettare fornitori diversi da quelli che tradizionalmente lavorano con la ristorazione collettiva, sempre prestando la massima attenzione al rispetto degli standard qualitativi richiesti da Elior”.
Standardizzare i menù
In secondo luogo, si procede verso una standardizzazione dei menù e degli item, che “garantisce continuità e varietà di offerta al cliente e concentra i volumi di acquisto su determinate referenze, aumentando il nostro potere negoziale”.
Va da sé che le rinegoziazioni in questo particolare momento sono molto serrate. “La nostra ottica è sempre stata quella di accordi di medio-lungo periodo ed è ancora il nostro obiettivo: contratti di durata almeno annuale, per dare stabilità di fornitura e favorire la programmazione certa della spesa”.
La scomposizione del costo
Terzo passo, la scomposizione del costo secondo una catena del valore. “Abbiamo analizzato i processi produttivi dei nostri fornitori lavorando in sinergia con loro per mantenere inalterato il valore del prodotto e ottimizzare i costi. Abbiamo poi ripensato il nostro modello di acquisto con l’obiettivo di trovare nuove economie garantendo il livello di servizio atteso. Per esempio, disintermediando la catena di fornitura, ottimizzando le tratte e programmando gli ordinativi ai produttori con largo anticipo”.